Non sono solito recensire pasti consumati fuori casa (ne tantomeno quelli dentro), ritenendoli per la maggior parte dei casi una sottomissione alla sopravvivenza, ma oggi devo ricredermi.
La proposta è spiazzante, non ostenta virtuosismi futuristici e non si insoffitta nel sepolto, ma invita a immaginarsi in bocca ogni piatto, che nella loro intuitività riescono a farne apprezzare l'originalità. Sono colichese dalla nascita, e ormai nelle zone è impossibile mangiare bene, sia che si tratti di cucina locale che contemporanea. Qui li avrete entrambi: coltivare nel presente i ricordi seminati nel passato. Entrando nel merito, da provare assolutamente il galletto, sapientemente cucinato come fosse un'offerta agli dei, e la focaccia, quella sottile con lo stracchino, che vi si scioglierà in bocca e vedrete il Lago di Como trasformarsi nel litorale ligure.
La location non lascia sconti alla noia e alla banalità, con l'ospite tuffato nel frontelago e immerso nelle tinte colorate dell'architettura lariana, cullato dall'ombra degli ombrelloni che riecheggiano come le placide barche a vela del lago. Anche la focaccia non lascia sconti al portafogli (ziopera 19 euro).
Ciò che rende un ristorante unico e indimenticabile sono anche i suoi volti. Oggi ho incontrato Filippo e Beatrice, che con la loro umanità e affabilità sono riusciti a infondermi il sorriso, nell'impeccabile professionalità ed educazione che li caratterizza, e che rende impercettibile, nella sua preponderante rilevanza, la loro presenza durante la consumazione, ma proprio per questo indispensabili e fondamentali per essere il perfetto braccio, o ancor meglio ponte, tra la cucina e il cliente, rendendo il Portovino un lugo dove chi è seduto al tavolo è davvero elevato a protagonista.
Un posto dove il pranzo non rimane sullo stomaco, ma nel cuore.